Cosa sta causando quelle frane su Marte? Forse sale sotterraneo e ghiaccio che si scioglie

Cosa sta causando quelle frane su Marte? Forse sale sotterraneo e ghiaccio che si scioglie

I cambiamenti nella geografia di Marte attirano sempre una significativa attenzione scientifica e anche pubblica. La speranza di segni di acqua liquida (e quindi di vita) è probabilmente una delle principali forze trainanti di questo interesse. Una caratteristica mutevole particolarmente sorprendente è il Recurring Slope Lineae (RSL) originariamente trovato dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO). Ora, gli scienziati del Istituto SETI hanno una teoria modificata su dove questi RSL potrebbero svilupparsi – una combinazione di acqua ghiacciata e sale appena sotto la superficie marziana.

Secondo il team SETI, guidato dal Senior Research Scientist Janice Bishop, c’è un processo in due fasi che crea questi RSL. In primo luogo, il ghiaccio d’acqua sotterraneo deve mescolarsi con una combinazione di sali di cloro e solfati per creare un tipo di fango che destabilizza il regolith nella zona. Poi, il vento secco e le tempeste di polvere di Marte prendono il sopravvento, soffiando il materiale destabilizzato in nuovi modelli attraverso la superficie marziana.

Immagine di una frana marziana
Questa frana è stata individuata e colorata da Stu Atkinson, una ripida scarpata di confine polare nord.
Credito: NASA/JPL/Università dell’Arizona

Questa non è la prima volta che i ricercatori hanno suggerito che i sali di cloro potrebbero essere coinvolti nella creazione dell’RSL. Come per molta buona scienza, questa teoria è stata ora approfondita attraverso dati raccolti in esperimenti sia sul campo che in laboratorio.

Sfortunatamente, gli esperimenti sul campo non hanno potuto essere condotti su Marte stesso (almeno non ancora). Tuttavia, ci sono diversi luoghi sul nostro pianeta che sono considerati “analoghi di Marte”, tra cui il Mar Morto in Israele, Salar de Pajonales nel deserto di Atacama, e il Valli secche in Antartide.

Immagine delle valli secche McMurdo in Antartide
Immagine delle valli secche di McMurdo, in Antartide, dove è stato svolto parte del lavoro sul campo per questo esperimento. Acquisita dallo strumento Enhanced Thematic Mapper plus (ETM+) di Landsat 7.
Credito: NASA/EO

Il team SETI ha raccolto dati in alcune di queste località, e ha notato che la destabilizzazione della superficie è già stata osservata quando il sale ha interagito con il gesso, un tipo di solfato. Per questo progetto, il team ha raccolto dati nelle Valli secche, dove la geologia del suolo e la temperatura sono notevolmente simili a quelle trovate su Marte dal lander Phoenix e MRO.

Frane in un cratere vicino a Nili Fossae su Marte Credito: NASA/UofA HiRiseteam/MRO

Il lavoro sul campo è stato poi seguito dal lavoro di laboratorio, in quanto il team ha sottoposto il regolith analogo di Marte a test utilizzando indicatori colorati che avrebbero mostrato come il regolith simulatore avrebbe reagito se sottoposto allo stesso tipo di reazioni chimiche che avvenivano in Antartide.

Video della UT che discute alcune delle cose che potremmo aspettarci di trovare su Marte.

Tutta questa raccolta di dati ha portato a un modello geologico che coinvolge solfati, cloruri e acqua che può spiegare l’aspetto delle RSL viste sulla superficie di Marte. Il modello ha anche implicazioni sull’abitabilità del sottosuolo di Marte e su come la presenza di questi liquami potrebbe influenzare qualsiasi biosfera che il pianeta rosso potrebbe avere. Finché non ci saranno ulteriori test in loco questo modello sarà difficile da dimostrare, ma ce ne sono molti in programma per Marte nel prossimo futuro.

Per saperne di più:
Istituto SETI: Frane marziane causate da sali sotterranei e dallo scioglimento dei ghiacci?
CNN: Le frane marziane potrebbero essere causate dallo scioglimento del ghiaccio e del sale sotto la superficie
UT: Marte è ancora un mondo attivo. Ecco una frana a Nili Fossae

Immagine principale:
Immagine dalla fotocamera HiRISE della MRO delle RSL che si formano sul lato del cratere Krupac.
Credito: NASA / JPL / Università dell’Arizona